Guida alla scelta dello psicoterapeuta

Psicoterapeuta a Pisa - Dott. Valeria Bigarella
Psicoterapeuta a Pisa – Dott. Valeria Bigarella

Quando sentiamo di aver bisogno di aiuto e decidiamo di rivolgerci ad un professionista il problema spesso è: da chi andare?  Di che tipo di aiuto ho bisogno?

Chi sono gli specialisti della salute mentale?

Innanzi tutto è bene distinguere le competenze delle varie figure professionali, sulle quali spesso vi è molta confusione.

Se sentite di aver bisogno di un aiuto anche farmacologico, o il vostro medico di base vi ha consigliato di prendere dei farmaci allora serve uno psichiatra (o un neuropsichiatra infantile). Infatti solo questi professionisti essendo medici possono prescrivere farmaci e sono al tempo stesso anche psicoterapeuti.

Spesso però gli psichiatri (in particolare nel servizio pubblico) non utilizzano la psicoterapia e preferiscono appoggiarsi ad un collega psicologo. Lo psicologo psicoterapeuta è uno psicologo che dopo la laurea in psicologia e l’abilitazione professionale ha svolto un ulteriore percorso di formazione di 4 anni, specializzandosi in psicoterapia. Nei casi più complessi avere due figure distinte, un medico che segua la terapia farmacologica e uno psicologo che faccia psicoterapia può essere utile, specialmente se tra i due professionisti c’è una buona sinergia e collaborazione.

Se invece non sentite il bisogno di farmaci, uno psicologo può fare al caso vostro: infatti può fare diagnosi e dirvi se avete o meno un disturbo clinicamente riconosciuto e indicarvi come può essere trattato. Ma attenzione: se per la diagnosi e la consulenza è sufficiente uno psicologo non specializzato, per il trattamento del disturbo è necessario che questo sia anche psicoterapeuta. Infatti solo lo psicologo psicoterapeuta ha alle spalle 4 anni di specializzazione post lauream proprio sul trattamento dei disturbi mentali e sull’utilizzo della psicoterapia come trattamento. Le sue credenziali possono essere facilmente verificate sul sito dell’ordine degli psicologi.

Per quali problemi possiamo rivolgerci a loro?

Spesso l’obiezione è: “ma io non sono mica pazzo!”. Il temine pazzia è usato volgarmente e in senso spesso dispregiativo verso chi ha un disturbo mentale, ma questo pregiudizio non fa altro che accrescere il senso di isolamento di chi ha un problema che lo fa soffrire e cerca solo di affrontarlo con l’aiuto di professionisti esperti. Clinicamente parlando i “pazzi”, se proprio vogliamo usare questo termine che certo non ha nulla di scientifico, sono gli psicotici, quelli che hanno una compromissione dell’esame di realtà, ovvero che vedono cose inesistenti e irrealistiche. Ma per fortuna sono solo una minima parte di coloro che sono seguiti da psichiatri e psicologi!

Vi sono disturbi molto più comuni, che non hanno niente a che vedere con schizofrenia e disturbi psicotici, ma che sono altrettanto invalidanti per chi ne soffre e per i familiari che gli stanno accanto: la depressione, in cui umore depresso, mancanza di energia, faticabilità, sensazione di impotenza e di inutilità, visione negativa di sè e della vita, pensieri di morte, non solo rendono la vita molto difficile, ma se non trattati sono anche potenzialmente mortali!
In modo analogo anche i disturbi alimentari e le tossicodipendenze possono portare alla morte.
Altri disturbi possono comunque rovinare la vita e le relazioni familiari: pensiamo al gioco d’azzardo patologico, allo shopping compulsivo, o a disturbi caratterizzati di impulsività e discontrollo in cui il paziente improvvisamente fa cose estremamente avventate e rischiose ignorando rischi e inconvenienti senza avervi minimamente riflettuto o averlo pianificato (come nel disturbo borderline e nel disturbo bipolare).
Molto pesanti sono anche il disturbo ossessivo compulsivo, nel quale la presenza di pensieri ossessivi spinge a mettere in atto una serie di rituali che finiscono per scandire l’intera giornata compromettendo la vita lavorativa e sociale; i disturbi d’ansia, che portano ed evitare esperienze potenzialmente piacevoli o utili per la persona; i disturbi del sonno, estremamente pericolosi per la salute e l’efficienza lavorativa e sociale; i disturbi sessuali, che possono limitare pesantemente tutta la sfera del piacere e portare anche alla rottura di importanti relazioni di coppia.

Queste sono le principali patologie che possono essere trattate con la psicoterapia (da sola o associata ad una terapia farmacologica). Ma vi sono anche molte situazioni stressanti che non rientrano in alcun quadro clinico ma che comunque causano molta sofferenza e possono essere affrontate meglio grazie all’aiuto di un esperto. Difficoltà relazionali, crisi coniugali, problemi lavorativi, scelte difficili, ansia da prestazione, blocco negli studi, paura di un cambiamento imminente o di una situazione nuova, difficoltà ad accettare situazioni spiacevoli ma inevitabili (una malattia propria o di altri, un divorzio, un lutto, la perdita del lavoro, un figlio che si trasferisce lontano). In tutti questi casi è importante riuscire a reagire in modo costruttivo, anche se spesso ciò è molto difficile.
Un terapeuta può aiutare a focalizzarsi su obiettivi che siano alla portata e sulle strategie da attuare per raggiungerli, facendoci notare invece quei comportamenti che non fanno altro che peggiorare la già difficile situazione. Ad esempio continuare a chiedersi “perché è successo” o “dove si è sbagliato” non è utile a risolvere un problema e non fa che alimentare la sofferenza.

Che cosa differenzia i vari approcci? Come orientarsi nella scelta?

Non entro qui nel dettaglio dei diversi possibili orientamenti, altro elemento che crea spesso confusione. Mi limito a precisare che lo psicoanalista è uno psicoterapeuta che segue l’approccio psicoanalitico, ossia quello che fa riferimento alla psicoanalisi classica (freudiana) o alle sue più recenti versioni. E che l’approccio cognitivo comportamentale, sviluppatosi a partire dagli anni ’60, ha solide basi scientifiche che ne hanno dimostrato l’efficacia nel trattamento dei principali disturbi mentali. Anche altri approcci le hanno, ma i cognitivisti hanno fatto della ricerca clinica la loro bandiera, adattando il metodo a valutazioni di efficacia.

Invito invece a diffidare di chi non definisce il suo metodo o si dichiara “eclettico”. E’ importante seguire un metodo scientificamente basato, qualunque esso sia. Ben poche persone possono affermare di conoscerli in modo approfondito tutti, o anche solo alcuni. Meglio fidarsi di chi ne conosce bene uno e segue quello. Van Gogh non avrebbe saputo dipingere come Michelangelo e viceversa: entrambi sono stati geniali pittori, ciascuno seguendo il proprio metodo. Spesso la scelta dipende dal gusto personale, infatti i dati di ricerca non mostrano significative differenze di efficacia tra i diversi approcci, ma tutte concordano sull’importanza di costruire una buona alleanza terapeutica.

Quanto costa andare in terapia?

Per quanto riguarda la questione economica, nota dolente per la maggior parte di chi cerca aiuto, mi sento di dire che si tratta di un investimento: riuscire ad uscire dalla depressione e ricominciare a lavorare, riuscire a concludere gli studi, a non perdere il lavoro, a salvare il proprio matrimonio, a smettere di usare sostanze, sono tutti obiettivi che valgono i soldi spesi, anche da un punto di vista esclusivamente economico, basta riflettere sul costo che ha tenersi il problema! Perciò meglio fare un percorso serio, per quanto costoso, piuttosto che non fare nulla o rivolgersi a persone poco qualificate sperando di risparmiare.
Le parcelle di uno psicoterapeuta di solito vanno dai 50€ in su. Diffidate di chi vi chiede meno: la formazione è lunga e costosa (le scuole di specializzazione sono ormai esclusivamente private) e anche le stanze in cui sarete accolti hanno di solito costi notevoli. Ricordate che non si paga “solo” un’ora del tempo del terapeuta, si paga la sua esperienza, la sua formazione e, soprattutto, si paga la responsabilità che questo si assume quando accetta di prendervi in carico; si paga la sua disponibilità ad essere un punto di riferimento e un sostegno, a fare sempre il meglio per voi, a lavorare sul vostro problema anche aggiornandosi o studiando nuovo materiale, confrontandosi coi colleghi, insomma a fare tutto ciò che è necessario per risolverlo.

Se non potete permettervi uno psicoterapeuta privato non esitate a rivolgervi al servizio pubblico: ha i suoi limiti, primo dei quali il non poter scegliere la persona o l’approccio, ma anche spesso una scarsa disponibilità di specialisti che sono quindi costretti a barcamenarsi tra troppi pazienti col rischio di non riuscire a dare a ciascuno la dovuta attenzione. Però esiste, ed è sempre meglio che non fare nulla!

La durata del percorso dipende da molti fattori, in primis dalla gravità dei problemi: un disturbo presente da anni e ormai cronicizzato è molto più difficile da trattare di uno preso sul nascere, che invece può essere risolto nel giro di qualche mese. Se i problemi sono molteplici, come spesso accade, è necessario affrontarli tutti per prevenire possibili ricadute.
Anche riguardo la durata, diffidate da chi promette guarigioni in tempi rapidi, magari a priori, senza neanche aver valutato il caso! Difficilmente un problema importante scompare magicamente dopo poche sedute! Anche perché le prime 3-4 sedute di solito servono proprio per definire il problema, la sua gravità, capire come si è generato e perché si mantiene, e decidere insieme al paziente come trattarlo (si passa cioè dalla teoria generale a una valutazione individualizzata di come funziona quel disturbo in quello specifico paziente).
Successivamente inizia il trattamento vero e proprio. I risultati via via ottenuti devono poi essere consolidati se si vuole che il cambiamento sia stabile. Infine è necessario prevenire le ricadute, ovvero lavorare su possibili difficoltà future, assicurandosi che il paziente abbia acquisito gli strumenti e le competenze necessarie per affrontarle.

E’ il terapeuta giusto? Come valuto il suo lavoro?

Alcuni segnali che un terapeuta non sta lavorando bene possono essere:
-sedute ripetutamente cancellate o spostate con poco preavviso;
-scarsa disponibilità a rispondere a messaggi e telefonate in un tempo ragionevole (1-2 giorni);
-non richiamare dopo un’assenza;
-prestare scarsa attenzione mentre parlate, ad esempio mangiando, controllando il cellulare, o facendo altro (se ciò avviene spesso: ovviamente l’eccezione ci può stare e se isolata non dovrebbe essere motivo di rottura della relazione terapeutica!)
Altri segnali preoccupanti sono: dimenticare appuntamenti presi o informazioni date; non dare risposte precise a domande pertinenti, quali il tipo di diagnosi, il metodo utilizzato, la prognosi, un’ipotesi almeno approssimativa sulla durata del trattamento; sottovalutare sintomi importanti quali ad esempio pensieri di morte, atti autolesivi, atti aggressivi, insonnia, significativa perdita di peso, che sono tutti sintomi per i quali è doveroso almeno valutare l’ipotesi di un sostegno anche farmacologico. E nei casi più gravi anche di un ricovero, che il paziente può ovviamente rifiutare, ma che il terapeuta ha comunque il dovere di proporre!

Se non si vedono progressi, ovvero una anche lieve riduzione della sintomatologia dopo diversi mesi di sedute regolari, è giusto chiedersi come mai e parlarne insieme al terapeuta.
Se si ha la sensazione di non essere capiti o ascoltati, se ci si sente giudicati, se non ci si sente “in buone mani” è il caso di comunicare queste sensazioni in modo da decidere cosa sia meglio fare. Può non essere il metodo giusto o la persona giusta, in tal caso può comunque consigliarvi soluzioni alternative.
Ma non rinunciate a cercare di stare meglio! Ne vale la pena. E qualcuno in grado di aiutarvi almeno a migliorare un poco esiste. Va solo cercato. Con criterio. E talvolta non arrendendosi al primo tentativo.

 

Psicoterapeuta a Pisa – Dott. Valeria Bigarella

Scegliere di affidarsi ad uno psicoterapeuta significa scegliere di stare bene!

Il mio studio si trova a Pisa, in Via XXIV Maggio, 107.
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