Recentemente due fatti di cronaca hanno fatto molto discutere non solo per i reati commessi, ma anche per il comportamento della vittima: il caso della diciottenne stuprata da Genovese, e il caso della maestra d’asilo licenziata perché è stato fatto circolare un suo video intimo. In entrambi i casi si è detto, con più o meno violenza, che le due donne avrebbero dovuto essere più prudenti, più furbe, non fidarsi. Non sapevano che certe cose accadono? Che a quelle feste le cose vanno così? Che i video intimi possono poi circolare?
Il prof Guido Saraceni, che insegna diritto, e solitamente dice cose molto precise e azzeccate, ha fatto due post in cui, dopo aver condannato i reati (lo stupro e la diffusione di immagini intime senza consenso) invitava i giovani alla prudenza, a non fare uso di droghe, a non inviare a nessuno immagini intime. Due ottimi consigli, che mi sento di condividere. Ma qual è il problema nella frase “non offrite a nessuno la possibilità di farvi del male”?
Il problema è che si tende a incolpare la vittima per la sua imprudenza. Attribuendole quindi una parte di responsabilità nel non aver prevenuto, col suo comportamento, la condotta criminale di un altro. La si giudica, in modo più o meno pesante. Quando invece queste vittime meriterebbero solo solidarietà e comprensione. Non c’è empatia verso le donne vittime di violenza, si tende sempre a scandagliare il loro comportamento, il loro abbigliamento, se hanno inizialmente acconsentito per poi tirarsi indietro, se erano sobrie, promiscue e cose simili.
Questo modo di pensare solitamente non c’è in altri tipi di reati, come ad esempio il furto, su cui le condanne sono unanimi. Se io subisco un furto nessuno si chiede se avevo chiuso bene la porta, se avevo un impianto di allarme o una porta blindata. Nessuno mi chiede se avevo nascosto bene il mio portafoglio.
Questo perché il fatto di lasciare la porta aperta non è, né è percepito, come un invito a entrare e rubare. E il fatto che io possa avere dei soldi in bella vista non autorizza nessuno a prendermeli. E su questo siamo tutti d’accordo.
La destra ha impostato innumerevoli campagne elettorali sul fatto che lo stato debba combattere la criminalità, e ci ha preso anche tanti bei voti, perché il concetto è giusto e sacrosanto (il problema semmai è come, concretamente, la si combatta, ma questo è un altro discorso).
Invece questo concetto non è così chiaro per quanto riguarda i reati che implicano la sessualità femminile. Qui sembra che sia compito delle potenziali vittime prevenire gli stupri, evitando situazioni di rischio, rimanendo sobrie e lucide, vestendosi in modo non provocante.
Un altro esempio? Chiedereste mai a una vittima di incidente stradale come mai si trovava in strada? Se era proprio necessario mettersi alla guida? Eppure si sa che gli incidenti stradali accadono, poteva stare a casa, non gli sarebbe successo nulla!
È chiaro che non ha senso ragionare così! Non si può limitare la libertà personale per prevenire il rischio di subire un reato o un incidente!
Ci sono troppi incidenti stradali, magari dovuti all’alta velocità, a guida in stato di ebbrezza, all’uso del cellulare al volante? Spetta alla società intervenire. Con strumenti legislativi (inasprimento delle sanzioni, patente a punti, reato di omicidio stradale) o repressivi (maggiori controlli con etilometro, sistema tutor in autostrada). Non certo chiedendo ai cittadini di lasciare l’auto in garage! Che ci può pure stare, ma in un’ottica ecologica, non perché se esci con l’auto ti può accadere un incidente! Anche perché gli incidenti accadono anche ai pedoni e ai ciclisti. Allo stesso modo gli stupri accadono non solo a chi fa uso di droghe e frequenta certe feste, possono accedere veramente a chiunque!
Non spetta alle potenziali vittime prevenire comportamenti criminali altrui!
Qualsiasi invito alla prudenza, pur condivisibile, deve uscire da questa equazione!
Nel caso della violenza sessuale o del cosiddetto “revenge porn” (termine improprio, sarebbe meglio parlare di diffusione non consensuale di immagini intime) “prevenzione” dovrebbe essere insegnare ciò che è giusto e sbagliato, insegnare che non si divulgano immagini altrui senza consenso, che non si stupra, che un no è un no, anche se in precedenza c’era stato un sì. Non si fa e basta. Perché è sbagliato e perché si commette un reato incorrendo nelle pene previste. Questa è prevenzione.
E spetta alla magistratura, alle forze dell’ordine, alla pena col suo valore di deterrente, all’istruzione che deve insegnarlo. Spetta alla società tutta, che deve farsene carico e trovare gli strumenti per arginare questi fenomeni così preoccupanti e dall’impatto così pesante sulla vita delle vittime. E’ la società che deve trovare gli strumenti: legislativi, repressivi e culturali.
Non spetta in alcun modo alle vittime. Verso le quali si potrebbe anche avere un po’ più di empatia, invece di accusarle di essere state poco furbe, imprudenti, ingenue ecc. Basta!
Il criminale è chi commette il reato. Concentriamoci su di loro e sull’insegnare loro che certe cose non si fanno.
Violenza sulle donne – Dott. Valeria Bigarella
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