Il disturbo ossessivo compulsivo è un disturbo con una prognosi piuttosto sfavorevole: se non trattato tende infatti a cronicizzarsi; inoltre anche se le terapie hanno una provata efficacia, vi è comunque un rischio di ricadute (in particolare nel caso di terapia esclusivamente farmacologica).
E ci sono anche, purtroppo, alcuni pazienti che non migliorano neanche con le migliori terapie o che, pur migliorando, mantengono una sintomatologia residua.
Un aspetto che potrebbe spiegare la resistenza al cambiamento o la non stabilità dei miglioramenti nel lungo periodo potrebbe essere l’ambiente familiare in cui il paziente vive, aspetto che diventa particolarmente rilevante nel caso in cui il paziente sia un bambino o un adolescente.
Infatti l’ambiente familiare sembra avere un ruolo determinante nella genesi e nel mantenimento del disturbo.
Storie familiari
Le famiglie degli ossessivi sono state descritte come caratterizzate da:
- genitori poco attivi a livello motorio e iperattivi nella comunicazione verbale;
- intense limitazioni alle espressioni emotive in genere e a quelle di felicità e di piacere in particolare, in quanto considerati sentimenti volgari;
- blocco di ogni espressione concernente la sessualità e l’aggressività, di cui si tende a non parlare affatto;
- forte riduzione delle relazioni sociali (pochi amici e pochi contatti esterni) e, laddove siano presenti, assoluta formalità delle stesse;
- forte attenzione al rispetto delle regole formali e accentuazione della necessità assoluta di pulizia, sacrificio, impegno, penitenza e risparmio, con una forte tendenza a vedere il mondo in bianco e nero senza le sfumature di grigio, per cui se non si è perfetti allora si è del tutto indegni (Adams et al, 1965, 1973).
Sono inoltre segnalati in letteratura (Adorno et al, 1950; Adams et al, 1965; Salzman 1973; Guidano, 1988) e si riscontrano nell’attività clinica di tutti i giorni genitori (in particolare padri) caratterizzati dall’incapacità di immedesimarsi nel bambino e di giocare con lui assumendone gli atteggiamenti. Sono genitori tendenzialmente autoritari, i quali teorizzano che per motivi igienici ed educativi i figli non vadano toccati, coccolati, baciati, altrimenti diventeranno dei viziati. Probabilmente la tendenza a evitare un contatto stretto è connessa a problemi che loro stessi hanno rispetto alla propria amabilità personale, e ciò spiegherebbe in parte la frequente trasmissione intergenerazionale del DOC (Lorenzini e Sassaroli, 2000).
In una ricerca di Lorenzini e Sassaroli (1992) emerge chiaramente la tendenza degli ossessivi, rispetto ai controlli, a definire la propria amabilità in termini di prestazioni individuali e la forte difficoltà a fondarla su comportamenti da tenere nei confronti dell’altra persona. I futuri ossessivi sembrano stabilire con le proprie figure parentali una credenza del tipo “per essere accettati bisogna essere bravi, meglio se perfetti; sbagliare equivale a deluderli e a essere rifiutato”.
La qualità della vita dei familiari degli ossessivi
Il DOC ha un impatto invalidante non solo sulla vita del paziente, ma anche su quella di chi vive con lui. Avere in casa un paziente con disturbo ossessivo compulsivo mette a dura prova i familiari.
Le conseguenze negative da essi lamentate comprendono perdita di relazioni personali, perdita di tempo libero, problemi finanziari ed elevati tassi di stress. Inoltre è spesso riportato un forte timore di stigmatizzazione, infatti nella maggior parte delle famiglie il segreto viene tenuto da diversi componenti.
Anche uno studio italiano (Albert e colleghi, 2007) ha trovato che i familiari di pazienti con DOC risultavano maggiormente limitati nella salute fisica, nella vitalità, nel funzionamento sociale e avevano maggiori problemi emotivi e di salute mentale rispetto a quanto riscontrato in media nella popolazione italiana.
Il concetto di accommodation
Spesso i familiari dei pazienti ossessivi finiscono per adeguare le abitudini quotidiane ai loro rituali e alle loro richieste, alle quali è estremamente difficile e costoso dire no.
Accommodation è il termine usato per riferirsi alle azioni dei familiari che sono specificamente collegate alla sintomatologia ossessivo compulsiva. Include comportamenti quali:
- assistere un familiare con DOC quando mette in atto dei rituali (ad es. fornendo oggetti necessari ad essi)
- acconsentire alle richieste del familiare (ad es. seguire una certa routine per ridurre l’ansia)
- fornire rassicurazione al familiare (ad es. rispondere ripetutamente alle domande)
- sostituirsi al familiare in attività di sua responsabilità o ridurre la sua responsabilità (ad es. nei bambini ridurre al minimo la disciplina, fornire un aiuto extra nei compiti)
- modificare attività e routine familiari (Storch et al, 2007).
Altri autori (Saracco e colleghi, 2007; Livingstone-Van Noppen et al.,1990) propongono invece una definizione più ampia, che include non solo risposte di collaborazione, ma più in generale ogni comportamento specificamente collegato alla sintomatologia ossessiva, quindi anche quelli di opposizione attiva o di interferenza coi rituali. Secondo questi autori esiste un continuum che va dal completo coinvolgimento nei sintomi, alla forte opposizione ad essi, quindi dalla completa accondiscendenza a comportamenti di critica e ostilità verso il paziente. Secondo questo modello quindi, si possono identificare 3 tipologie di famiglie: 1) quella accomodante e collusiva; 2) quella antagonista, critica e oppositiva; 3) quella divisa, in cui coesistono membri con atteggiamenti di critica e membri accomodanti.
Circa il 75% dei familiari dei pazienti con DOC partecipa almeno minimamente ai rituali o agli evitamenti o modifica il proprio comportamento per adattarsi ai sintomi del paziente (Calvocoressi et al, 1995; Shafran, Ralph, Tallis, 1995). Riferendosi in particolare ai bambini, Storch et al. (2007) notano come i caregivers spesso assecondino il DOC di un figlio allo scopo di ridurne l’impegno nei rituali, lo stress o per ridurre la disabilità dovuta ai sintomi.
Purtroppo, sebbene tali sforzi siano fatti con le migliori intenzioni, essi tipicamente aumentano la disabilità del paziente e la severità dei sintomi, causando un impatto significativo sulle vite altrui e contribuendo ad accrescere le dinamiche familiari negative (Steketee, Van Noppen, 2003) e rinforzando il coinvolgimento del bambino negli evitamenti e nei rituali legati al DOC (Storch el al, 2007). Sono ormai noti gli effetti negativi dell’accommodation sulla risposta al trattamento dei pazienti con DOC: maggiori livelli di accommodation familiare sono associati a sintomi peggiori al termine del trattamento.
Gli interventi sulla famiglia dei pazienti con DOC
Alla luce di quanto descritto, appare sensato ai fini del trattamento cercare di intervenire non solo sul paziente con DOC, ma anche sulla famiglia in cui vive, con l’obiettivo sia di ridurre l’accommodation, sia di incidere sul funzionamento dell’intero nucleo familiare.
In letteratura sono individuabili due principali tipologie di intervento: le terapie cognitivo-comportamentali assistite dai familiari e gli interventi di psicoeducazione (Bogetto et al, 2006).
Il primo tipo di approccio prevede il coinvolgimento di un familiare con con funzione di co-terapeuta e supervisore degli esercizi comportamentali di esposizione e prevenzione della risposta assegnati al paziente. Ovviamente questo tipo di intervento presuppone il pieno consenso del paziente a coinvolgere i suoi familiari nella terapia.
Gli interventi psicoeducativi invece sono solitamente interventi di gruppo che includono sessioni sulla diagnosi, la valutazione, le teorie sul DOC, il trattamento comportamentale con l’esposizione, le terapie farmacologiche e la prevenzione delle ricadute. Gli obiettivi sono incrementare l’autostima, condividere sentimenti ed esperienze, accettare i limiti realistici dei pazienti e imparare strategie per affrontare i sintomi ossessivi. Altro obiettivo su cui spesso sono centrati questi interventi è la riduzione dell’accommodation. I dati sull’efficacia di questi interventi sono incoraggianti.
Per quanto riguarda gli interventi familiari sul DOC in età evolutiva, purtroppo questi rimangono una minoranza. La maggior parte degli interventi rivolti alla famiglia include indistintamente genitori, coniugi e talvolta figli di pazienti di età anche molto diversa tra loro. Per questo talvolta è preferibile, a tali gruppi eterogenei, un percorso di supporto alla singola famiglia, che sia mirato sui suoi specifici bisogni.
La famiglia del paziente ossessivo – Dott. Valeria Bigarella
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